La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1274/2025, pubblicata il 19 gennaio, ha affermato che la deroga al principio del favor rei, applicato per equivalenza con la sanzione penale, anche in ambito sanzionatorio amministrativo tributario, può essere giustificata da esigenze di gettito erariale e ne ha escluso l’applicazione al caso di specie.
Ancora una volta la Corte abbraccia le ragioni erariali non tenendo conto dei principi costituzionali. La notizia è pessima per i contribuenti che si vedono negare un beneficio che trova la sua ragione d’essere nella Costituzione e nelle norme sovranazionali.
Per i contenziosisti dello Studio, tuttavia, si apre la possibilità di proporre giudizi davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che si può considerare l’ultimo baluardo a difesa dei diritti fondamentali dei contribuenti.
L’avvocato Francesco Giuliani e l’avvocato Giulio Chiarizia, peraltro stanno ultimando la seconda edizione del volume:
«Diritto tributario, CEDU e diritti fondamentali dell’U.E.», di prossima pubblicazione per la casa editrice Giuffrè Francis Lefebvre.
Di seguito un estratto della sentenza nel punto in cui esamina l’applicazione della lex mitior (norma più favorevole al contribuente), ed esclude l’applicabilità del principio di favor rei.
«[La difesa del ricorrente] si è doluta pertanto della violazione del principio della retroattività della lex mitior, applicabile tanto alle sanzioni penali in senso stretto, quanto a quelle amministrative aventi contenuto sostanzialmente penale. A tal fine ha invocato la disciplina e la giurisprudenza unionale.
Ha quindi sostenuto che, a prescindere dalla sussistenza o meno dei presupposti per la rimessione della questione alla Corte costituzionale, comunque invocata, l’art. 5 debba essere disapplicato per contrasto con l’art. 49, par. 1, del CDFUE. La richiesta di applicazione delle sanzioni nella misura più favorevole al contribuente, così come prevista dall’art. 2 del DLgs. n. 87 del 2024 non può trovare accoglimento, né le difese della società hanno allegato ragioni sufficienti ad evidenziare la non manifesta infondatezza della denuncia di illegittimità costituzionale della disciplina derogatoria.
Premesso che l’applicazione della sanzione più favorevole è preclusa da una espressa previsione normativa, ed in particolar modo all’art. 5 del DLgs. n. 87 del 2024, secondo cui la rivisitazione delle sanzioni amministrative in materia fiscale, complessivamente favorevole al contribuente, va applicata a partire dalle violazioni commesse dal 1° settembre 2024, così derogando al generale principio di retroattività della legge più favorevole, la scelta del legislatore non appare in contrasto con i principi costituzionali né con quelli unionali.
Questo collegio ovviamente non ignora la rilevante problematica sottesa al tema dell’applicazione della legge più favorevole per le ipotesi di rideterminazione delle sanzioni tributarie, questione di certo amplificata nel caso di specie, considerando che l’oggetto del contendere si inserisce nel quadro della ampia revisione dell’intero sistema sanzionatorio tributario, coinvolgendo in pratica l’intero impianto regolato dai DLgs. nn. 471 e 472 del 18 dicembre 1997. E tuttavia, proprio questo ampio ripensamento della disciplina, come di tutto il sistema tributario, secondo la delega apprestata dal Legislatore con la L. n. 111 del 2023 – dall’art. 20 quanto alle sanzioni, con i conseguenti principi e criteri direttivi, specie, per quanto qui di interesse, quelli elencati nelle lett. a (per gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali) e c, punti da 1 a 5 (per le sanzioni amministrative) – consente di “leggere” la deroga alla lex mitior disposta dal legislatore delegato in un quadro coerente con i principi costituzionali, così come con quelli unionali.
Deve intanto riaffermarsi che l’equivalenza tra sanzione amministrativa e sanzione penale costituisce una regola tendenziale ineludibile e inevitabile, che tuttavia non giunge ad una perfetta sovrapposizione dei piani. Se è vero che il principio del favor rei trova copertura costituzionale (nell’art. 25 Cost. secondo certa interpretazione, nell’art. 3 Cost. secondo più persuasiva ricostruzione), e sovranazionale nell’art. 49 CDFUE e nell’art. 7 CEDU, e che,
come più volte affermato dalla giurisprudenza unionale e da quella nazionale, la sanzione amministrativa può assumere sostanza e natura penale, è altrettanto utile ricordare che la stessa natura penale delle sanzioni ha necessità d’essere perimetrata.
A tal fine, senza lunghe digressioni, punto di costante snodo in materia è sempre rappresentato dai criteri fissati dalla Corte EDU nella sentenza “Engel”, ossia la qualificazione penale dell’illecito e, in sua assenza, al fine della estensione delle garanzie previste dagli artt. 6 e 7 CEDU e 49 CDFUE a illeciti anche non qualificati formalmente come penali, lo scopo af”ittivo e non riparatorio della misura, la gravità della misura, anche nella sua applicazione concreta, la rilevanza attribuita dalla disposizione alla gravità del fatto e alla colpevolezza dell’autore (Corte EDU, 8 giugno 1976, caso n. 5100/71, Engel and Others/Netherlands).
Ciò comporta che le regole di garanzia affermate dai principi unionali in tema di reato si estendano alle sanzioni amministrative, ma questo non significa che reato e pena siano perfettamente coincidenti con violazione amministrativa-tributaria e sanzione».